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ANGIOMA EPATICO E LESIONI SIMILI

ANGIOMA EPATICO E LESIONI SIMILI.
In Hepatology 2007 May;45(5):1139-45 è stato pubblicato un lavoro tedesco (Dietrich CF et Al., Caritas Hospital Bad Mergentheim in Germany) eseguito su 58 casi di angiomi epatici istologicamente accertati in pz. con rilievi di possibile malignità per presenza di cirrosi, di malattia neoplastica, di rapida crescita della l.o.s. L’uso di SonoVue (ecoamplificatore di seconda generazione) con metodica CEUS ha consentito di dimostrare che i tipici segni ecocontrastografici riportati in letteratura sono affidabili nella diagnosi dell’angioma epatico soprattutto in relazione alla differenziazione con eventuale patologia secondaria metastatica.
Riprendiamo, a questo punto, i dati forniti da un interessante studio che nel 2002 un gruppo di Esperti italiani ha pubblicato sulle linee-guida per la diagnosi differenziale dell’angioma epatico, argomento che, come si vede, è tutt’ora attuale (Caturelli E., Bartolucci F., Biasini E., Roselli P., Anti M. “Angioma epatico: linee-guida per la diagnosi differenziale” Giornale Italiano di Ecografia Vol 5 3/2002 pag. 205-215).
L’angioma epatico è definito come una neoplasia mesenchimale benigna, che incide fino al 5 % nella popolazione generale (ma fino al 20% in casistiche autoptiche mirate).
E’ un tumore benigno raramente congenito, che può comparire in tutte le fasce di età, in genere di dimensioni modeste e senza tendenza alla crescita volumetrica. Tuttavia sono descritti casi di aumento anche considerevole delle dimensioni nel corso dell’osservazione, fino a eventi di rottura traumatica con emoperitoneo.
E’ descritta la recidiva dopo exeresi chirurgica.
L’angioma epatico prevale nel sesso femminile e per alcuni dati di letteratura sembra ormono-sensibile.
La maggior parte degli angiomi sono di tipo cavernoso, essendo rara la variante capillare: la D.D. tra le due varianti istologiche NON è alla portata dell’ecografia.
Gli angiomi epatici ecograficamente tipici non richiedono in genere esami di conferma.
Nei casi in cui la diagnosi ecografica, o per la morfostruttura o per il contesto clinico della lesione, rimanga dubbia, si deve fare ricorso a altre appropriate metodiche di imaging.
Se ci si trova dinanzi ad un angioma ecograficamente tipico, rilevato casualmente in soggetto a basso rischio non affetto da epatopatia cronica e senza anamnesi di neoplasia, le probabilità che si tratti invece di lesione maligna sono dello 0,4% (su una casistica di 208 rilievi), e pertanto non vi è indicazione ad altre indagini, o, al massimo, si eseguirà un’ecografia di conferma dopo 6 mesi, per controllare la stabilità della lesione.
Se però si riscontra tendenza all’aumento di volume, si programmerà un’ulteriore sorveglianza ecografica.
Se al primo riscontro diagnostico manca anche uno solo degli elementi di tipicità, si deve eseguire una TAC spirale trifasica con m.d.c.
La RMN c/m.d.c. ha una sensibilità del 90% e una specificità del 92%, con accuratezza diagnostica del 90% nella diagnosi di angioma epatico, e quindi può essere ben utilizzata come esame di conferma di prima scelta.
La scintigrafia con emazie marcate Tc-99 ha sensibilità dell’89%, specificità del 100% e accuratezza diagnostica del 95%, salvo per le lesioni di dimensioni piccole.
Pertanto, se la lesione ha diametro > 3 cm TC spirale/RMN/scintigrafia con emazie marcate sono di equivalente utilità; se la lesione ha diametro < 3 cm si deve preferire la RMN.
Se anche dopo la seconda indagine sussistono incertezze, alcuni AA. ritengono indicata la biopsia con ago sottile.
Attualmente riveste notevole interesse l’uso di ecoamplificatori di 2a generazione, che porterebbero l’ecocontrastografia a livelli di affidabilità anche superiori alle metodiche di imaging citate (se correttamente eseguita: e questo è però un punti critico).
Di questo si farà cenno più oltre, perché gli stessi Autori hanno confermato di recente questo loro lavoro pubblicando un capitolo del Manuale Italiano di Ecografia Internistica edito da A. Delfino nel 2007.
In pratica si deve procedere secondo queste linee-guida.
Se si rileva la presenza nel fegato di una lesione ecograficamente tipica per angioma in un ammalato a rischio, perché affetto da epatite cronica da HBV o da HCV, da cirrosi epatica, o con anamnesi neoplastica positiva, al primo riscontro e fino a prova contraria il sospetto è di una lesione maligna (epatocarcinoma o metastasi).
Infatti, esistono sia HCC (epatocarcinoma) che metastasi con aspetto così detto “HLL” (hemangioma-like lesions).
Tuttavia, se la lesione era nota da oltre 6 mesi e non ha manifestato segni di accrescimento e/o di alterazioni strutturali, la diagnosi di angioma è comunque affidabile e si possono omettere esami di conferma.
In caso contrario, si deciderà in base alla singola situazione clinica, ricorrendo a esami di conferma (TAC spirale c/m.d.c., RMN c/m.d.c. epatospecifico, epatoscintigrafia con emazie marcate, biopsia citologica, ecocontrastografia epatica).
In particolare, nel caso di un’epatite cronica B o C un rilievo di HLL al primo esame necessita di conferma (può essere un angioma nel 50% dei casi); un rilievo di HLL nel follow-up con negatività di esami precedenti va ritenuto sospetto per HCC anche se gli esami di conferma sono negativi (come avviene in caso di HCC ipovascolare o di nodulo displastico) e quindi richiede direttamente l’esame bioptico, senza altri passi intermedi.
Se un’HLL viene classificata alla fine come angioma, di per sé non richiede altri controlli (salvo per quanto necessita la malattia di base = cirrosi); gli angiomi possono essere, nel tempo, resi non identificabili dal progredire della fibrosi peri- e intralesionale.
Se si rileva una HLL in ammalato con positività di anamnesi neoplastica, se non sono disponibili esami precedenti, si deve procedere alla TC spirale, e solo se dopo di essa rimarranno dubbi si eseguirà una biopsia con ago sottile, rinunciando ad altre metodiche di imaging.
Gli stessi Autori, pur con altre Collaborazioni di prestigio, firmano il capitolo sui “Tumori Benigni del Fegato” del recentissimo “Manuale Italiano di Ecografia Internistica” edito da A. Delfino come si è più sopra già detto.
I dati esposti sono del tutto analoghi, con l’aggiunta, come più sopra anticipato, di cenni sull’utilizzo dei mezzi di contrasto per ecografia di seconda generazione (che sarebbe più corretto definire “ecoamplificatori” anzichè m.d.c.).
Con questi ecoamplificatori si dimostra che l’angioma si contrasta in fase arteriosa solo perifericamente, con successiva diffusione centripeta del contrasto a tutta la lesione nella fase portale, per giungere ad una impregnazione completa nella fase parenchimale. Data la lentezza dei flussi intralesionali, l’impregnazione permane a lungo (e gli angiomi di maggior volume si riempiono lentamente), mentre in fase tardiva tendono a perdere l’impregnazione ma sempre molto più lentamente delle lesioni maligne, ove il wash-out è di norma assai rapido.
L’ecocontrastografia (Contrast-enhanced ultrasonography: CEUS) consentirebbe anche una migliore “detection” complessiva delle l.o.s. epatiche rispetto all’ecografia standard.
Una interessante revisione della letteratura sull’angioma epatico è stata effettuata da Corsale et. al.
Gli angiomi sono le neoplasie epatiche benigne più frequenti ed attualmente si ritiene che l’incidenza sia del 7,3% in aumento in relazione all’affinamento delle tecniche diagnostiche ed ai numerosi studi autoptici. Infatti tali lesioni sono nella maggioranza dei casi asintomatiche, riscontrate occasionalmente in seguito ad indagini condotte per definire stati clinici diversi; sono rinvenute più frequentemente in donne di età compresa tra 30 e 50 anni.
L’eziopatogenesi non è chiara, ritenendole lesioni acquisite secondarie a danno focale del parenchima o neoplasie di tipo amartomatoso, presenti sempre già dalla nascita ed a lentissimo accrescimento. A supportare tale ipotesi è anche la associazione, non frequente, con altre lesioni nodulari epatiche per le quali si suppone una comune origine malformativa . Non certa, come per le localizzazioni cutanee o gengivali, la relazione con le terapie estroprogestiniche .
Il tipo istologico più frequente è l’angioma cavernoso: generalmente grosso ed unico, può raggiungere anche il peso di alcuni chilogrammi! Tuttavia nella maggioranza dei casi la lesione è piccola, più spesso solitaria, anche se sono possibili casi di angiomatosi multipla. Gli angiomi epatici possono essere associati ad analoghe lesioni cutanee e neurofibromatosi nella sindrome di Pascual Castroviejo II.
Nel corso degli anni si è assistito ad una progressiva modificazione dell’approccio a tali neoplasie ed ancora oggi molte controversie non sono risolte riguardo l’impostazione diagnostica, le opzioni terapeutiche e le indicazioni operative.
Gli angiomi epatici sono neoplasie benigne, con potenziale evoluzione dimensionale dipendente da processi emorragici intratumorali piuttosto che da fenomeni proliferativi. Per lo più sono asintomatici; come tutte le masse epatiche benigne possono dare un corredo clinico scarsamente specifico o rivelarsi per disturbi compressivi o complicanze: la rottura dell’angioma è possibile nel 1-4% dei casi, ed è un evento drammatico gravato da una mortalità del 60-75%! Non sembra esserci correlazione tra le dimensioni e la sintomatologia avvertita, legata piuttosto a peculiari localizzazioni nel parenchima. Caratteristica, invece, è la sindrome di Kasabach-Merritt nella quale sono variamente associate lesioni angiomatose solitarie o multiple, costantemente a localizzazione epatica e, talvolta, polidistrettuale, e che si rivela in età pediatrica con una coagulopatia da consumo secondaria a trombosi intratumorali ricorrenti.
Negli ultimi decenni è nettamente incrementato il rilievo strumentale di angiomi epatici, certamente in virtù dell’affinamento delle diverse tecniche diagnostiche, in particolare dell’ecografia: è indagine di primo livello, capace di fornire immagini significative in oltre il 90% dei casi, ma può presentare dei limiti nei confronti della valutazione differenziale tra angiomi superiori a 4 cm e lesioni maligne primitive o secondarie. Dubbi diagnostici possono essere risolti con la TC spirale, d’obbligo in tutti gli angiomi di dimensioni maggiori di 10 cm alla prima diagnosi, e, quando non sufficiente, con RMN dinamica: capaci di una sensibilità del 96% ed una specificità del 98%, relegano ad un ruolo marginale le procedure più invasive (angiografia, FNAB, laparoscopia diagnostica).
Ben noto è il modificato atteggiamento terapeutico nei confronti degli angiomi epatici che si è affermato negli ultimi anni.
Precedentemente, infatti, il rischio di sanguinamento spontaneo era l’indicazione elettiva al trattamento di queste lesioni; oggi è stabilito che tale evenienza è rara, inferiore all’1% dei casi, e pertanto il solo rischio di emorragia non può condizionare la scelta terapeutica. Attualmente non sono ben definite ed univocamente accettate le indicazioni alla chirurgia, cercando di individuare tra i diversi angiomi quelli a maggiore rischio di rottura.
Sono da trattare assolutamente le neoplasie sintomatiche, in particolare se inscritte nell’ambito di una sindrome di Kasabach-Merritt , quelle che determinano una progressiva evoluzione verso una grave insufficienza epatica e tutte le forme per le quali dopo il consueto iter diagnostico non siano risolti dubbi circa la natura istologica. Controversie sussistono circa la validità delle dimensioni quale elemento discernente la condotta terapeutica: anche gli angiomi giganti, superiori a 10 cm, non vengono considerati di indicazione chirurgica, ma piuttosto da sottoporre a stretto follow-up, a meno che non siano sintomatici o presentino caratteristiche radiologiche di incipiente rottura.
La valutazione combinata della situazione metabolica del paziente, in particolare relativamente all’integrità dell’apparato cardio-respiratorio e della funzionalità epatica, e delle caratteristiche radiologiche dell’angioma, con eventuali segni di maggiore rischio di rottura, può fare propendere per una condotta aggressiva anche in assenza di sintomatologia chiara. Con tale indicazione sono aggredibili i tumori che mostrano un incremento rapidamente progressivo delle dimensioni o con evidenza radiologica di fenomeni di necrosi o emorragia intratumorale, e quelli a localizzazione superficiale o peduncolati, per la maggiore possibilità di rottura traumatica. Con gli stessi limiti, secondo alcuni Autori, sono da trattare anche gli angiomi plurifocali. Infine, probabilmente i soggetti esposti a maggiore rischio di traumi addominali per attività sportive o lavorative dovrebbero essere trattati chirurgicamente. In tutti casi la rottura dell’angioma rappresenta un’indicazione assoluta ad una procedura di urgenza, stante l’alta mortalità (75%) che questo evento determina: è più frequente per le neoplasie localizzate al lobo sinistro, probabilmente per la maggiore mobilità di questo, ed è particolarmente temibile se da angiomi a localizzazione postero-inferiore, causa la difficoltà tecnica a dominare l’emorragia in tempi ristretti.
Nei pazienti nei quali sia indicata una procedura aggressiva, in emergenza o elezione, il tipo di trattamento è comunque condizionato dalla valutazione del bilancio metabolico ed epatico del paziente. Inoltre, anche se la mortalità e la morbilità a seguito di interventi resettivi epatici minori e maggiori si sono notevolmente ridotte, rimane inalterato il concetto che si tratta di procedure demolitive impegnative per il paziente e spesso tecnicamente difficili per il chirurgo. Presupposto essenziale è che la chirurgia epatica sia affidata ad operatori esperti, dotati di un efficace supporto tecnologico (bisturi ad ultrasuoni o a radiofrequenza, recupero intraoperatorio del sangue).
Tecnicamente è possibile procedere alla asportazione della neoplasia sia eseguendo una resezione tipica, sia limitandosi alla sola enucleazione: la scelta è influenzata tra l’altro anche dal rischio di recidiva dell’angioma. Questa è attendibile nel 5-25% dei casi, indipendentemente dall’ampiezza della demolizione, è secondaria a plurifocalità o ad incompleta resezione della neoplasia e si sviluppa molto lentamente, impiegando anche 10 anni per manifestarsi. Anche alla luce di questa evenienza l’approccio che preferiamo è la resezione regolata condotta con tecnica digitoclasica sec. Thon That Thung. Il bilancio preoperatorio, la sede e le dimensioni della lesione naturalmente influenzano tale atteggiamento, risultando talvolta più sicuro e, comunque, affidabile procedere ad una enucleazione piuttosto che alla resezione: la tumorectomia è sufficiente nei pazienti anziani, per la lenta evoluzione della recidiva, quando i limiti anatomici e radiologici sono ben evidenti o, come indicato da Karahasanoglu , in caso di approccio mini-invasivo. È chiaro che quanto più sia limitata la resezione, tanto più deve essere accurato lo studio pre- ed intra-operatorio per ben definire i limiti della neoplasia e minimizzare il rischio di recidiva. Infine, in casi molto selezionati può essere presa in considerazione l’ipotesi del trapianto epatico.
Strategie diverse sono da adottarsi in urgenza.
Infatti in questi casi, causa la instabilità emodinamica e la mancanza di una valutazione epatica funzionale, nella maggiore parte dei pazienti è prudente procedere al solo controllo dell’emostasi mediante packing o SHAL; inoltre, eventuali suture devono essere applicate su parenchima indenne per evitare ulteriori sanguinamenti dell’angioma. Solo in un secondo momento, stabilizzati i parametri metabolici e definita l’operabilità, si dovrebbe procedere alla resezione epatica.
Naturalmente nei casi non aggredibili chirurgicamente per condizioni relative al paziente o al tumore stesso (plurifocalità, localizzazione bilobare, contiguità vascolare) è possibile prendere in considerazione procedure alternative.
L’occlusione arteriosa epatica, e quindi dell’apporto ematico all’angioma con conseguente riduzione delle dimensioni, della sintomatologia e dei rischi di sanguinamento, può essere ottenuta mediante embolizzazione . Tale metodica, eseguibile anche in urgenza, è possibile poiché il fegato è provvisto di un doppio apporto vascolare, arterioso e portale. Deve essere preceduta da un attento studio angiografico per mappare la vascolarizzazione arteriosa epatica: nonostante questo accorgimento, gli insuccessi sono frequenti, proprio per le irregolarità di distribuzione vascolare. Inoltre, nel corso di questa procedura si deve preservare l’arteria gastro-duodenale e la cistica, per evitare l’ischemia dei visceri irrorati. Da valutare, infine, l’efficacia del trattamento con corticosteroidi negli adulti, di riconosciuta validità nei bambini, e della radioterapia.
Il progressivo aumento delle conoscenze circa le caratteristiche degli angiomi epatici ne ha definito le potenzialità evolutive ed il rischio di emorragia da rottura spontanea che, precedentemente ritenuto possibile per qualsiasi di queste neoplasie, si è progressivamente ridotto risultando evenienza rara. Tale considerazione è alla base del mutato atteggiamento terapeutico, in precedenza spiccatamente interventistico, oggi soprattutto astensionistico. L’indicazione al trattamento chirurgico, a parte le urgenze, deriva infatti sempre da una valutazione combinata della sintomatologia e del rischio indotto dalla lesione e quello secondario alla resezione epatica.
Come per tutta la chirurgia benigna epatica in elezione, ne è possibile il trattamento laparoscopico, sebbene i vantaggi rispetto alle procedure laparotomiche appaiano meno evidenti che per altri interventi. Qualora si scelga questo approccio, è preferibile procedere preventivamente alla embolizzazione arteriosa per ridurre l’entità del sanguinamento da eventuale rottura accidentale durante la dissezione. L’occlusione arteriosa è impiegata anche isolatamente nei pazienti con indicazione operativa non trattabili chirurgicamente ma, causa le irregolarità di distribuzione vascolare, è gravata da un alto tasso di insuccessi.

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